Abbiamo visto Adolescence, la popolare serie Netflix, uscita il 13 marzo. La miniserie racconta la vicenda di Jamie, un adolescente 13enne che viene arrestato con l’accusa di aver ucciso una sua compagna di scuola. Ogni episodio ci racconta un momento specifico della vicenda che si svolge nell’arco di circa un anno. L’espediente registico (la serie è girata come un unico piano sequenza), seppure può essere considerato un virtuosismo stilistico, rende la visione coinvolgente e capace di immergere o spettatore nella vicenda raccontata, lasciandogli a tratti anche una sensazione di oppressione (insomma, non è una visione facile!).
Il caso di omicidio diventa un modo per aprire una riflessione più ampia sulla complessità del mondo degli adolescenti, su quali sono le motivazioni e il sostrato che spingono un adolescente a commettere una azione simile. Al netto delle differenze culturali e sociali (la serie è ambientata nel Regno Unito) e di alcuni punti in cui la serie sembra mancare di realismo (vd. l’irruzione violenta della polizia in casa di Jamie), che rendono complesso comparare e leggere quello che succede e applicarlo al contesto italiano, quello che ci sembra interessante è la molteplicità di temi che la serie tocca: l’isolamento sociale, il bullismo/cyberbullismo, la violenza tra pari, l’esposizione a contenuti pericolosi attraverso l’utilizzo della rete e il tema dell’educazione, del ruolo degli adulti e delle istituzioni. Quali sono i fattori psicologici e sociali che possono portare a comportamenti estremi, anche nel caso in cui non c’è nessun “disagio conclamato”? Siamo abituati a pensare ai pericoli come eventi riconoscibili, qualcosa che si vede progressivamente arrivare e che spesso è più probabile nel caso di un background familiare fragile. Ma cosa succede quando questi elementi sembrano assenti? Quando “non c’è niente che non va?”
In questo caso, quello che si nasconde dietro la rabbia e la frustrazione di Jamie è una complessa rete di fattori, legati anche in buona parte alla sovraesposizione a Internet e ai social. Questo si sovrappone a un clima storico che porta all’emersione di “subculture” e di idee pericolose, che innestate in una persona molto giovane possono essere molto pericolose. Il modello negativo di riferimento si sviluppa progressivamente tra le mura domestiche e cresce nella stanza di Jamie (come racconta la mamma, nell’episodio conclusivo: “stava chiuso nella sua cameretta, una volta era tardi e gli ho detto di spegnere la luce perché il giorno dopo doveva andare a scuola, lui ha spento la luce, ma non è mai uscito dalla stanza”).Senza fare spoiler, è proprio il confronto tra i genitori di Jamie nell’episodio conclusivo quello che, personalmente come spettatori, abbiamo apprezzato di più, perché si interroga sul tema dell’educazione, sulla distanza generazionale che spesso si instaura tra adulti e ragazzi in cui sembra prevalere l’incomunicabilità e l’incomprensione. Siamo quindi forse arrivati a un momento storico in cui ci si sta rendendo conto che un certo tipo di approccio all’adolescenza (e ai giovani in generale) e all’educazione manca di qualcosa?
La serie mette in luce il vuoto lasciato da modelli positivi assenti, non perché sostituiti da pattern disfunzionali o negativi, ma causati dal fatto che mancano nella relazione genitori-figli (in questo caso soprattutto tra padre-figlio), anche in condizioni di “normalità”, gli strumenti necessari per instaurare un dialogo profondo tra i due mondi. L’educazione digitale non può essere ridotta a un insieme di regole su schermi e app e non può prescindere da un’educazione emotiva-sociale-relazionale che aiuti a decifrare il mondo e a entrarci in relazione, perché il digitale non è un universo parallelo, è intrecciato alla vita reale, alle relazioni, alla costruzione dell’identità.
“Rete senza fili” lavora per formare insegnanti e educatori per identificare, comprendere e affrontare questa tipologia di problematiche secondo metodologie condivise e consolidate, promuovendo un uso consapevole della tecnologia e creando contesti che supportino la connessione emotiva, promuovendo il benessere dei più giovani.