Che cosa succede ai videogiochi in queste settimane di lockdown?
Crescono. La chiusura in casa forzata dal Coronavirus ha fatto registrare un aumento di ore giocate e di titoli scaricati online (leggi). Come nota l’analista Matthew Ball (vedi l’articolo in italiano del Post), “le crisi economiche e i disastri naturali tendono ad accelerare fenomeni già in atto”: per un mercato che dominava il settore dell’intrattenimento questo periodo è una pompata di steroidi nella corsa verso il trono. Date un’occhiata al trailer dell’evento speciale “Endgame” di Fortnite, perfetta simbiosi tra un blockbuster hollywoodiano e un gigante videoludico.
Ci avreste scommesso? Di sicuro ci scommettono i giocatori d’azzardo: con lo stop imposto agli sport tradizionali (dal calcio al basket alla Formula 1), a tenere in piedi l’universo del betting ci pensano le scommesse sugli eSports (leggi). Competizioni internazionali su titoli come Fifa, DOTA 2, CS:GO, Overwatch, League of Legends, PUBG e Fortnite esistono già da anni e muovono un mercato milionario: ora il loro spazio aumenta.
Lo spazio dei videogiochi è talmente vasto che sarebbe riduttivo leggerlo unicamente come arena ludica. Su Fortnite il recente concerto del rapper americano Travis Scott ha registrato 12 milioni di persone collegate. Che cosa significhi partecipare ad un concerto musicale su un’arena battle royale è ben descritto in questo articolo di Esquire. Ma vi consigliamo anche di vedervi uno dei video dell’evento (ad esempio questo): dura solo dieci minuti, ne vale la pena.
Chissà se qualche gamer ha provato a rileggere questa quarantena con le parole chiave dei videogiochi. Il senso di epicità di una lotta più grande di noi, il bisogno di community che ci aiuta a combatterla, la narrazione scandita da capitoli/fasi, le regole e i relativi tentativi di cheating (ovvero modi per fregare il sistema). Le similitudini sono suggestive. Ma se fosse davvero un gioco, lo staremmo facendo volontariamente e divertendoci: in questa pandemia invece siamo tutti dentro e non vale dire “non gioco più”. E se fosse davvero un videogioco, “andrà tutto bene” sarebbe una certezza granitica: è il bello della simulazione videoludica, dove si può provare e riprovare all’infinito ed ogni errore permette di migliorarsi, sui sicuri binari codificati dal Dio-programmatore. Nel nostro mondo umanamente imperfetto la sfida più grande rimane quella di convivere con il dubbio e la morte, facendo salire di livello la skill della speranza.
I videogiochi potranno aiutarci a farlo? Scriveteci che cosa ne pensate su retesenzafili@gmail.com